In effetti non ci sarebbe molto di cui discutere. L’Obiettivo 11 dell’Agenda 2030 dell’ONU recita: “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili” il punto 11.7 stabilisce: Entro il 2030, fornire accesso universale a spazi verdi e pubblici sicuri, inclusivi e accessibili, in particolare per donne, bambini, anziani e disabili. L’Italia ha bisogno di piantare circa 230 milioni di alberi nei prossimi 8 anni, e le città possono giocare la loro parte fondamentale. La dotazione minima di verde per abitante, secondo la normativa urbanistica, è di almeno 10 mq/abitante. Caserta ha una popolazione di 72987 abitanti (2021) con 342,6 abitanti per Kmq; n Italia invece circa 200 ab./kmq, ovvero 1,7 volte più della media nazionale e seconda nel Meridione solamente alla provincia di Napoli. La città dispone di appena 2 mq circa di verde per abitante a fronte di 10 mq/ab minimo, così come stabilito dalla normativa urbanistica, ovvero 5 volte meno; mentre 33,8 mq è la disponibilità media di verde urbano per abitante in Italia, ovvero 16,9 volte in più rispetto a Caserta, L’unica area residua a verde rimasta in città è quella dell’ex Macrico di proprietà della Chiesa estesa per 324.533 mq. Il resto è stato già tutto cementificato. E anche questo è un fatto. Non dovrebbe essere così difficile a questo punto, sulla base dei dati (e dei fatti) assumere una decisione da parte del Comune di Caserta. Facciamo allora un po' di conti facili facili. Se gli amministratori casertani uscissero letteralmente pazzi e decidessero di rispettare la legge, dotando la città di verde pubblico, avremmo bisogno di 8mq (ovvero 10 mq – 2 esistenti) x 72987 abitanti pari a un fabbisogno di suolo pari a mq 586.896. Ma l’unica area a verde pubblica possibile ed esistente è l’area ex Macrico che, destinata tutta a verde pubblico, potrebbe soddisfare appena il 44,70% del fabbisogno minimo stabilito dalla legge. Conseguentemente l’Amministrazione comunale non avrebbe molto spazio per decidere. Volendo rispettare la legge e guardare al futuro con un certo grado di serenità per la salute pubblica. Certo Caserta non avrà mai (capite questo avverbio?) quello che la legge prescrive in ordine al diritto minimo di verde pubblico. Certo non raggiungerebbe mai gli obiettivi stabiliti dal punto 11.7 dell’Agenda ONU 2030. Certo non sarebbe mai una città vivibile. Avrebbe come ha diverse migliaia di residenze sfitte o addirittura non accatastate per non pagare tasse e tributi vari. La politica è questa: decidere da che parte stare e operare. E la proprietà? In nome del bene comune la proprietà si deve stare, come prescrive l’art. 42 della Costituzione; e la Chiesa casertana si potrebbe “accontentare” ad esempio del raddoppio dell’attuale volumetria esistente e farci comunque bei soldini per sostenere il clero. Sarebbe giusto. Per tutti. Non ci sono margini di trattativa e non c’è più tanto tempo, dopo oltre vent’anni persi in discussioni ingannevoli e fuorvianti. Che pena vedere quei poveri tecnici arrampicarsi letteralmente sugli specchi per inventarsi giustificazioni per nuovo cemento, accontentare i loro padroni politici a loro volta, sottomessi agli interessi di gruppi di potere, di clan e quant’altro. Se l’A.C., Marino in testa e la proprietà non faranno quello che la legge e il buon senso stabiliscono, avremo la prova da che parte stanno, “senza null’altro a pretendere” da loro come diceva il grande Totò nel film Totò Peppino e la…. Malafemmina Giuseppe Messina – già assessore al verde pubblico e alla vivibilità urbana