Titolo: DOVE STIAMO ANDANDO: ROBOT E INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Inizio questa riflessione con una prima domanda: se la tecnologia ci libererà del tutto o in larga parte dalla fatica della quotidianità del lavoro favorendo il tempo libero, la creatività e le relazioni, come dovrebbe essere pensato il cosiddetto welfare? Chiariamo subito la differenza che passa tra robot e intelligenza artificiale (I.A.). “La robotica è l'intersezione di scienza, ingegneria e tecnologia che produce macchine, chiamate robot, che replicano o sostituiscono le azioni umane mentre, l'intelligenza artificiale, è la simulazione dei processi di intelligenza umana da parte delle macchine, in particolare dei sistemi informatici” (Fonte: www.softecspa.com) Facciamo prima qualche passo indietro. Nella mitologia classica, il deforme dio del metallo Efesto (o Vulcano) creò dei servi meccanici, che andavano dalle intelligenti damigelle dorate ai più utilitaristici tavoli a tre gambe che potevano spostarsi di loro volontà. Questo circa 2500 anni fa. Due esempi per capire. Primo esempio. Il Giappone è la nazione che ha il più basso tasso di natalità e una riluttanza “culturale” ad accogliere mano d’opera straniera. Il Paese ha affidato ai robot il loro futuro, producendosi gli operai di cui ha bisogno attraverso i robot. Fantascienza o mito? E’ già realtà. Si è già avviata la produzione industriale al modico prezzo di circa 10.000 euro di robot per l’assistenza agli anziani. I robot infermieri sono già diffusi in Giappone con alto gradimento dei pazienti. In Italia, ad esempio esiste da diversi anni ormai Aphel un robot intelligente che assiste il personale dei centri medici. Accoglie guida e si prende cura dei pazienti, prima e dopo la visita. Non passeranno molti anni che l’intero pianeta sarà invaso da queste tecnologie. Lo sviluppo e il progresso dei robot umanoidi hanno raggiunto un livello sconvolgente. Progettati per somigliare agli esseri umani nell'aspetto e nel comportamento, questo tipo di automi sta diventando sempre più intelligenti e versatili. Secondo esempio. L’azienda cinese WinSun New Materials (azienda di costruzioni con sede nella città di Suzhou), ha costruito, tramite una stampante 3D, 10 case di 200 mq in sole 24 ore. La stampante 3D utilizzata è lunga 500 metri, larga 33 e alta 20. Il costo per ogni casa si aggira intorno ai 4.800 dollari! Heidelberg, Germania, costruito un edificio per ospitare un centro per computer server: Sono bastate due persone per costruire il più grande edificio in 3D d’Europa. Al posto di decine di muratori un gigantesco robot posiziona il cemento sulla base del disegno del progettista e soltanto due lavoratori a supervisionare il progetto. Sono bastate 140 ore di lavoro per costruire l’edificio di 55 metri per 11, alto nove. Stesso discorso in numerosi altri paesi. Abbiamo citato la Cina e la Germania ma lo stesso vale per California, Amsterdam in Olanda e le esperienze fattuali nel campo delle stampanti 3D per l’edilizia sono innumerevoli e i palazzi costruiti già raggiungono i cinque piani. Gli osservatori più attenti ci dicono che la tecnica delle stampanti 3D rappresenta il futuro perché abbatte i tempi di costruzione, riduce i costi a cominciare da quelli del lavoro e ha un minore impatto ambientale potendo utilizzare pienamente prodotti riciclabili. Dove stiamo andando Proviamo adesso a immaginare, con gli occhi della mente, cosa potrebbe essere il nostro Paese da qui a 10-15 anni. Sarà difficile ipotizzare popolazioni felici di non lavorare e preoccuparsi di poetare, cantare, ecc. in mancanza di un reddito certo che, con questa organizzazione sociale, solo un lavoro potrebbe assicurare. Sarà anche difficile che il sistema regga senza assicurare a questa moltitudine di persone un qualche reddito per (soprav)vivere e consumare, visto com’è impostato il nostro sistema produttivo. Il Pew Research Center di Washington, attraverso una specifica indagine, già nel 2015 chiese a quasi duemila esperti, analisti e costruttori di prodotti tecnologici la loro opinione sul futuro del pianeta a proposito delle nuove tecnologie e dei robot in particolare. “I risultati, già dieci anni fa, concordavano su tre punti. Primo: i robot e l’intelligenza artificiale permeeranno ogni aspetto della nostra vita già nel 2025. La loro diffusione, in particolare, si farà sentire sul settore della salute, dei trasporti, della logistica, dei servizi ai consumatori e della manutenzione della casa”. I fatti ci dicono che l’I.A. ha di molto anticipato le previsioni del Pew Research Center, mentre l’introduzione dei robot nell’industria e nei servizi si è affermata da anni senza un sussulto da parte dei decisori politici e degli intellettuali. I danni finanziari inoltre, causati da video falsi e attacchi hacker, generati dall’IA solo negli USA, passeranno da 12 miliardi nel 2023 a 40 miliardi di dollari entro il 2027 (Fonte: Deloitte). Appare evidente che le tre leggi sui robot, illustrate da Isaac Asimov già nel 1942 con il racconto Girotondo, siano state del tutto ignorate: 1) un robot non può recare danno a un essere umano; 2) deve ubbidire agli umani purché ciò non contrasti la prima legge; 3) deve proteggere la sua esistenza purché ciò non contrasti con le prime due leggi. Nonostante quanto evidenziato e ben conosciuto, appare evidente che la formazione, scolastica e universitaria, non è stata in grado di preparare adeguatamente le persone a questo presente. Sarebbe bene accelerare e ampliare quel poco che si riesce a fare in questo distratto (?) Paese. C’è da chiedersi inoltre: “I cambiamenti, ormai realtà fattuale, sono stati un’occasione per rivalutare alcune competenze, ma anche per ripensare il nostro concetto di lavoro?”. Alla luce di quanto sopra, questo governo, quello di prima e quelli di prima ancora, continua a guardare il dito anziché la luna e così appare del tutto certo che con ogni probabilità i miei nipoti di quindici, dodici e otto anni non avranno una pensione e i loro figli, se verranno, non lavoreranno mai e tanto meno, con questo sistema, non avranno diritto ad alcun sostegno. In conclusione converrebbe organizzarsi e pensare da subito che sarebbe meglio lavorare tutti ma meno nell’attesa, non troppo lunga, che nessuno o quasi lavorerà. Allora si porrà un problema: chi dovrà controllare le fonti che genereranno i beni? E’ pensabile accettare l’idea (oggi vincente) che le principali ricchezze del pianeta stiano in mano a pochissime persone o famiglie e non ipotizzare invece che il problema della distribuzione equa delle risorse (a cominciare dall’acqua) costituisca il vero problema per il futuro insieme alla sostenibilità ambientale, alla biodiversità e ai mutamenti climatici? E quale ente dovrebbe avere in mano questi beni primari per non farci fare la fine dei topi in una scatola?